sabato, ottobre 09, 2004

Intervista a Toni Capuozzo - Libero 6 ottobre 2004

“Sento spesso altri giornalisti parlare di “resistenza irachena”. Anche giornalisti del Tg1, il servizio pubblico per eccellenza. Ma io in Iraq ho visto altri resistenti. Chi ha fatto la resistenza, in Iraq, è Fabrizio Quattrocchi. È per questo che non ci hanno mai mostrato il video della sua esecuzione: perché lui, morendo, ha fatto la resistenza. Quello scatto di orgoglio, quel gesto di ribellione, quel saper affrontare la morte dignitosamente erano una sconfitta per i suoi boia. I terroristi vogliono sempre esibirci codardi e piagnucolosi, meschinamente attaccati alla vita. Quattrocchi li ha annichiliti, ha fatto la resistenza, li ha battuti”. Toni Capuozzo, 56 anni, inviato del Tg5, da mesi racconta una guerra diversa da quella raccontata dalla Rai e da gran parte dei giornali. Nella sua trasmissione, “Terra”, se la prende con il pacifismo, svela le zone d’ombra di un “Ponte per...”, denuncia la cecità e la cedevolezza occidenta - le, ricorda la condizione delle donne, dei civili. Rifiuta il concetto di resistenza applicato non soltanto al terrorismo stragista, ma anche alle bande armate in guerra con gli americani. A Libero ha spiegato il perché: “Perché io sono un uomo di sinistra. Non ho mai nascosto né rinnegato le mie origini, la mia attività in Lotta continua. Per me la Resistenza è un’altra cosa. In Iraq non esiste un’attività di resistenza”.
Che cosa c’è? “Un terrorismo straniero, quello di Al Zarqawi per intenderci, che ha messo radici in un terreno fertile; e un terrorismo costituito da ciò che resta del vecchio regime di Saddam. È un terrorismo che funziona. Se ammazzano gli interpreti perché lavorano per gli americani, la gente non fa più l’interprete. Poi ci sono bande armate - io le chiamerei bande di ribelli, di insorti - che non rapiscono e non mettono le autobombe, ma si oppongono con la guerriglia alla presenza degli americani”.
Considerano gli americani invasori. Non uccidono i civili. Tecnicamente sono resistenti. “No, non lo sono. Sono conservatori, sono prevaricatori, vogliono le donne sottomesse, rifiutano l’idea di un Iraq democratico. Vogliono essere la nuova oligarchia dittatoriale”. Dunque solo Quattrocchi è un resistente? “Lui. I dodici nepalesi che aspettavano coraggiosamente e in silenzio la pallottola alla nuca. I cinquemila iracheni in divisa uccisi dai loro connazionali perché collaboravano con gli Usa nel tentativo di dare un futuro al paese. Gli iracheni ammazzati con le bombe mentre erano in fila per reclutarsi. Questi hanno fatto la resistenza, non gli altri. Anche l’inglese in gabbia, in lacrime e terrorizzato, fa la sua resistenza, perché nella sua paura c’è tutta l’umanità che manca ai suoi sequestratori”.
Sono pochi in Italia a pensarla così. “In Italia si giustifica il terrorismo con la fame. Si dice che è la miseria a produrre l’orrore. E la fame dei camionisti turchi assassinati? E la fame di chi si arruola? La fame degli iracheni che lavorano per l’esercito americano? È una fame minore? Più ignobile?”.
Sono obiezioni poco affascinanti in Europa. “L’atteggiamento dell’Europa è incomprensibile. Sembra non abbia altro obiettivo che di godere di un eventuale fallimento di Bush. È un’Europa confusa da quando è caduto il comunismo, pervasa da una grande corrente ideologica fatta di figli di papà, di pauperisti, sia religiosa sia laica, che ha perso la sua bandiera. E allora ha sostituito il vecchio modello del comunismo con un modello alternativo, e sempre a sognare il paradiso. Quando c’era il comunismo si diceva, disillusione dopo disillusione, che il comunismo poteva essere qualcosa di diverso da Stalin, poi da Mao, poi da Pol Pot. Ma il comunismo diverso non è mai arrivato. Ora si sogna un mondo ancora più indefinito, ancora più inesistente”.
Beh, l’Islam è un mondo molto concreto. “Certo, un mondo nel quale è stato proiettato incredibilmente il sogno di una terra promessa. Ma dove? Nella tirannide talebana? Nelle donne seppellite nel burqa? E questo sarebbe l’altro mondo possibile predicato dai no global? Stando in Iraq mi sono ripromesso, come sempre, di raccontare fatti. Penso che prima di farsi un’opinione si debbano conoscere i fatti. Invece molti incasellano fatti partendo dalle opinioni. Della terribile vicenda del povero Baldoni, per esempio, o di quella delle due Simone si è discusso per giorni delle dinamiche del sequestro, delle anomalie, come se l’unico obiettivo fosse quello di dimostrare che erano stati gli americani, i servizi deviati, la Cia. Per dimostrare che tutto il male del mondo è roba loro”.
Siamo al solito antiamericanismo? “Certo, non è cambiato nulla. Sei sei antiamericano va bene qualsiasi cosa tu faccia. Anche se sgozzi, sequestri, metti a fuoco Bagdad e Gerusalemme. Magari non ti giustifiano ma ti capiscono. A parte il fatto che poi, se arriva un americano che corrisponde al loro ideale, lo idolatrano. Michael Moore è stato trasformato in un nuovo Orson Welles, Kerry in una specie di Kennedy “ .
Spesso il terrorismo viene equiparato ai bombardamenti americani. “È così. Se gli americani bombardano un covo di estremisti fanatici, le tv ci mostrano i civili e ci dicono che questo è l’orrore. Non ci dicono che i terroristi non vivono nelle caserme, ma in mezzo alla gente, in una palude in cui è impossibile muoversi con certezza. Non mi piacciono i cosiddetti “danni collaterali”. Ma non sono terrorismo”.
Il terrorismo paga? “Arafat ha vinto il Nobel per la Pace con il terrorismo. Della questione palestinese nessuno sapeva nulla sinché i palestinesi non cominciarono a rapire, dirottare, uccidere. Allora in Europa siamo diventati tutti tifosi della Palestina e di Arafat”.
Che cosa ha di diverso la protesta no global da quella vostra, degli anni Settanta? “Beh, la nostra contestazione aveva in sé una carica di violenza che, per fortuna, non vedo oggi. Però le battaglie della sinistra ora sono simboliche, evanescenti, vacue. Dicono no al rimpatrio di seicento clandestini sbarcati a Lampedusa ed è una cosa insensata, contraddittoria. Secondo questo ragionamento, dovremmo organizzare noi dei ponti aerei e portare in Italia non seicento clandestini, ma seimila.
E perché non sei milioni? O sessanta? Insensato “ .
Lei dice che non si deve prendersela con le due Simone. “Perché sono due militanti. Lo sapevamo e non dovevamo dimenticarlo. Perché poi si resta delusi. Dovremmo anzi essere felici che un’esperienza simile non le abbia cambiate”.
Però è stato molto più severo con “Un ponte per...”, l’organizzazione che le ha mandate in Iraq. “Semplicemente mi sono chiesto dov’erano quando Saddam sterminava a migliaia gli sciiti e i curdi. Dov’erano quando Saddam utilizzava ghigliottine a sei posti per decapitare sei oppositori contemporaneamente. Non sono mai stati campioni di libertà. Per lavarsi la coscienza portavano le medicine ai bambini, che era come aprire una farmacia ad Auschwitz. Hanno sceso i gradini di un abisso morale. Sono brava gente con la doppia morale”.
Che cosa pensa dei suoi colleghi che raccontano un’altra guerra? “Non penso niente. Io penso a me. Certo,mi rendo conto di suscitare scandalo, perché ho una storia di sinistra e vedo e racconto cose diverse da quelle che raccontano i Giulietto Chiesa o le Gruber. Sono stato criticato anche per come ho reso i fatti del G8 a Genova, ma pazienza. Del resto non l’ho inventata io la foto con il povero Giuliani che sollevava l’estintore, con il povero Placanica armato e con gli occhi terrorizzati, e con le travi buttate dentro alla sua camionetta”.
Lilli Gruber ha mollato il giornalismo e il giorno dopo era candidata per l’Ulivo. “Sono d’accordo con il suo ex direttore, Clemente Mimum: avrebbe fatto bene quantomeno a lasciar passare un po’ di tempo”.
Comunque si è candidata dopo averci parlato per mesi, da Bagdad, della guerra. È legittimo dubitare della genuinità del suo lavoro? “Sì, lo è. Ma non ne farei un dramma. Purtroppo la gente ascolta soltanto quello che vuole sentirsi dire. Se viviamo di pregiudizi la colpa non è soltanto della stampa. Tutta l’Europa è molle e impreparata. Il pensiero ribelle è diventato il conformismo più totale. Quando un grande anticonformista come Montanelli si è adagiato, per una volta, al pensiero corretto dominante, si è guadagnato gli applausi di tutti i suoi vecchi avversari”.
Un’ultima domanda. Che sarà dell’Iraq? “Io rimango ottimista. Se andrà bene, come penso, il processo sarà lunghissimo e doloroso ma in Iraq si produrrà un circolo virtuoso che fa paura a molti. Una democrazia in Medio Oriente è qualcosa di straordinariamente eversivo”.
Sembra un neoconservatore, un consigliere di Bush. “Non ragiono su basi di appartenenza. Ragiono sui fatti. I fatti dicono che in Iraq sono nati più di cento giornali. La gente ha la libertà di manifestare e di bruciare le bandiere in piazza. E quando si assaggia la libertà, poi è molto difficile tornare indietro e rinunciarvi”.


Tratto da "Libero" del 7/10/2004

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