sabato, ottobre 30, 2004

Cnn: Arafat ha perso le facoltà mentali

Spero che Abu Mazen, uomo che tutto sommato si è guadagnato una fiducia anche a livello internazionale, possa davvero cambiare la faccia dell'Olp.
Che si inizi, se il Dio di Israele e di Palestina vuole, la trattativa per cessare le ostilità

Al cinema al venerdì: The Village



Scheda


Ieri sera ho visto davvero un bel film, irritanti i commenti di certi personaggi presenti in sala dopo il film, incapaci (a mio modo di intendere) di notare nella storia una metafora del nostro tempo, e ancorati superficialmente alla letteralità del racconto!

Si parla di società in questo film, di separazione, di paura. Paura di noi stessi e di quello che con le nostre scelte produciamo, paura dell'altro che ci sta accanto, paura del diverso che non vediamo e non sappiamo neppure se c'è!
Poi si parla di coraggio e soprattutto il coraggio d'amare, che ci porta a comportarci in certi modi.
Insomma davvero un bel film, se uno al cinema ci va anche per riflettere e non solo per disturbare mangiando insopportabili poc-corn, ridendo e sperando di aumentare la propria banalità.


venerdì, ottobre 29, 2004

Venerdì 29 ottobre 2004: la Costituzione Europea

Oggi è una giornata davvero storica, nel bene e nel male, una data che sarà ricordata per sempre e di una portata tale da non essere ancora capita interamente!
Per scaricarla integralmente: Costituzione UE (in formato pdf dal sito del Corriere della sera)

DA ROMA A ROMA IN 47 ANNI (da Panorama.it)
Le tappe che hanno preceduto la firma della costituzione
La costituzione europea unisce in un unico testo e sostituisce l'insieme dei trattati esistenti. A cominciare dai Trattati di Roma (25 marzo 1957) che istituirono un mercato comune europeo, con l'abolizione dei dazi doganali, e istituzioni quali Commissione, Consiglio dei ministri, assemblea parlamentare e Corte di giustizia.
Nel 1986, Atto unico europeo: prima riforma di mercato interno, istituzioni e cooperazione politica.
Il 7 febbraio 1992 arriva la pietra miliare della storia dell'Ue: il Trattato di Maastricht, che introduce l'unione economica e monetaria, fissa quattro parametri per l'euro e raffigura l'Ue a tre pilastri: politica comunitaria, politica estera e di sicurezza, cooperazione per giustizia e affari interni.
Nel 1997 il Trattato di Amsterdam introduce, seppure con limitazioni, un coordinamento su immigrazione, asilo, controlli alle frontiere esterne.
L'ultimo Trattato di Nizza (11 dicembre 2000) ha ridisegnato poteri e funzionamento delle istituzioni in vista dell'allargamento.
Concludendo posso solo aggiungere che in un momento storico così importante sembriamo pure noi un Paese normale, senza le solite beghe tra guelfi e ghibellini!

Non tornerà più!



Arafat è arrivato in Francia. Non tornerà mai più in Palestina.

Finalmente pace per i due popoli?

giovedì, ottobre 28, 2004

Palestinesi, perchè amate quest'uomo?





Quest'uomo, perchè è tanto amato dai fratelli palestinesi?
Me lo sono sempre chiesto, e non ho ancora trovato una spiegazione che sia del tutto valida e plausibile. Eppure Arafat domina in Palestina da molti anni, è il leader incontrastato, la sua figura è autoritaria e palesemente carica di ambiguità.
Mi piacerebbe che qualcuno mi possa spiegare il perchè di questo fatto, senza portare nella discussione la demagogia degli israeliani che opprimono e uccidono i poveri palestinesi!
Qualsiasi sia la risposta, è innegabile che si sta aprendo una nuova stagione storica per le sorti di Israele e della Palestina.

mercoledì, ottobre 27, 2004

Un vero uomo, il suo nome resterà nei libri di storia


Ecco Ariel Sharon, un vero eroe, un capo che resterà per sempre nei libri di storia e dalla parte di chi è un Giusto!

Putroppo l'approvazione avvenuta ieri, 26 ottobre 2004, non ha avuto il giusto risalto nei media, come avvenne per le storiche elezioni di qualche settimana fa in Afghanistan!

Mi chiedo, perchè?

Comunque nella storia non resteranno gli editoriali o i pezzi del telegiornale, ma le scelte sofferte e coraggiose come quella presa ieri da Ariel, il Premier israeliano!

Ora spero che anche i "Giusti" di Palestina si facciano avanti!


venerdì, ottobre 22, 2004

A che punto siamo arrivati, questi gip...


Appello a Ciampi contro l’ignominia

Presidente, intervenga per impedire a un gip di sfasciare l’unità nazionale

Signor presidente della Repubblica, le chiediamo nella sua qualità di garante dell’unità nazionale e di presidente del Consiglio superiore della magistratura di intervenire nell’increscioso caso sollevato da un gip di Bari a proposito di alcuni italiani che sono stati sequestrati in Iraq e tenuti come maiali in un porcile per alcune settimane, fino alla loro liberazione manu militari. Le chiediamo di restituire pienamente l’onore civile a Fabrizio Quattrocchi, uno di loro, che è stato assassinato dai terroristi islamisti in nome della loro guerra santa contro ciò che noi siamo, contro i nostri alleati occidentali, contro i nostri soldati, civili e carabinieri morti a Nassiriyah. Le chiediamo di dire parole alte e forti contro ogni ambiguità, anche quelle derivate da un eventuale esercizio automatico e burocratico della legge, nel caso di un nostro connazionale come Quattrocchi, morto fucilato gridando ai fucilatori: “Adesso vi faccio vedere come muore un italiano”. Ella sa bene, signor presidente della Repubblica, che siamo abbastanza adulti da sapere che in Italia l’azione penale è obbligatoria e che il gip di Bari rivendicherà di avere qualificato come “mercenari” o “fiancheggiatori” o “gorilla” della coalizione occidentale in Iraq gli ostaggi italiani in base a strette regole del codice penale, che gli imporrebbero di indagare in merito e di qualificare come reato i metodi di arruolamento del personale di sicurezza a contratto privato nel teatro di guerra iracheno. Ma ella sa anche benissimo che non esistono atti, parole, motivazioni di comportamenti pubblici privi di conseguenze sulla comunità nazionale. E che se è cominciata la caccia giudiziaria al “mercenario”, cioè all’italiano che va a lavorare e a rischiare in quel paese dalla stessa parte dei nostri militari, e per gli stessi scopi di protezione della ricostruzione e della pacificazione, la conseguenza non può che essere una profonda e divisiva spaccatura nell’opinione della nazione su una questione di principio che tocca a lei tenere saldamente in pugno. Fabrizio Quattrocchi è stato un buon italiano ucciso dal nemico, come Enzo Baldoni, e sta a lei riaffermarlo con parole chiare e solenni per evitare che molti italiani, e noi tra questi, considerino un “nemico” chiunque si azzardi a togliergli questa qualifica conquistata a due passi dalla morte, con parole che ebbero un significato profondo anche se il paese non seppe ascoltarle ed accoglierle con il calore che sarebbe stato necessario.
da Il Foglio22/10/2004

lunedì, ottobre 18, 2004

Dopo le polemiche su Toni Capuozzo, rileggiamo le sue opinioni dalla puntata di Terra del 3 ottobre 2004

Ritorno a casa

Il ritorno a casa, a volte, è un sollievo amaro. No, non per quello che dichiarano le due Simona. Su questo bisognerebbe essere chiari: hanno il diritto di dire quello che vogliono, ed è persino piacevole sapere che sono tornate a essere quelle di prima, che il sequestro non le ha piegate, non ha cambiato il loro modo di vedere il mondo, o che sono riuscite a sfuggire ai fantasmi aggrappandosi alle vecchie abitudini, come per un riflesso automatico: sono sempre io, sono le stesse di sempre.
Non è questione di gratitudine, o di quel mediocre senso dell’opportunità che spinge persino gli eroi della partita, la domenica, a dire che il merito è di tutta la squadra, a ringraziare il mister e l’assist, e l’importanza del risultato. No, dobbiamo essere contenti che siano così, di nuovo, e ripetere, aggiustandola all’occasione, la vecchia frase: non sono d’accordo con quello che dici, ma mi batterò fino in fondo perché tu abbia il diritto di dirlo.
A volte, quando parliamo, parliamo di cose diverse: il loro Islam non è il nostro Islam, la loro resistenza non è la nostra resistenza, la loro occupazione americana non è la nostra occupazione americana, e perfino le loro donne e i loro bambini non sono le nostre stesse donne e i nostri stessi bambini: quando noi sentiamo la parola Islam ci scappa di pensare a una sacralità della vita individuale che in quel gorgo di passioni si è persa e sarebbe sleale nei loro confronti non ricordarglielo, non imputargli le loro sviste, non pretendere che si assumano le proprie responsabilità, che riscattino se stessi e il loro mondo. Quando loro parlano di resistenza, noi abbiamo in mente Kenneth Bigley in gabbia. Quando loro parlano di occupazione americana noi abbiamo in mente che quel paese va aiutato a farcela da soli, e se gli americani andassero via sarebbe un macello peggiore. Quando loro parlano di donne, noi abbiamo in mente l’umiliazione della donna come un segnale, a tutti, dell’umiliazione dei diritti, delle diversità, della dignità. Quando loro parlano di bambini, noi abbiamo in mente le caramelle e le autobombe. Ma non è a loro che dobbiamo chiedere di essere normali, o speciali, o rimproverare a loro l’affetto e la pena che abbiamo provato per loro, chiedendole di continuare a essere chissà che cosa. Sono state, per poco più di venti giorni, due figlie d’Italia, e ai figli si finisce per perdonare tutto, e non si può chiedere loro di assomigliarci troppo: alla fine, vanno sempre per la loro strada, e dobbiamo volergli bene per quello che sono, non per quello che vorremmo che fossero.
Sono altri, quelli che sbagliano. Sono altri, che sotto i faretti delle telecamere rivelano smagliature etiche che si sciolgono come un trucco precario. La loro organizzazione, ad esempio. Non erano campioni di libertà prima. Avevano ingoiato senza fastidio, e con una buona dose di relativismo morale, tutti gli orrori del regime di Saddam Hussein. Passavano davanti ad Abu Graib e guardavano dall’altra parte. Vedevano gli sfarzi della corte e i miserabili tornaconti dei funzionari internazionali, eppure era solo contro l’embargo che puntavano il dito. Scendevano i gradini di un abisso morale, tacendo, e salivano quelli della nomenclatura: distribuivano visti, e mettevano a tacere la propria coscienza scavando un pozzo per la povera gente, facendo un doposcuola, portando medicine: più o meno, come aprire un pronto soccorso in un lager nazista, infermieri buoni e ciechi e sordomuti. Un patto sordido, su cui l’informazione italiana stendeva un velo, in cambio di visti, o con il solo ammiccamento di un sentire comune: l’odio per l’America, più forte di quello per Saddam, piccolo Saladino delle resistenze. E come si fa, quando il tuo passato è questo a dire, che so: hanno tirato dei colpi di mortaio contro la nostra sede, facciamo tornare a casa le ragazze. Era solo un incidente di percorso, via. E nel concordato amichevole ci sta tutto: dire che le ong restano in Iraq, armiamoci e partite. Dire che il sequestro è anomalo, vuoi vedere che c’è lo zampino dell’America, un compagno resistente non può averlo fatto. Dire molte cose, ma dette tutte da Roma, lascia che in Iraq ci vada Scelli, e ci restino i ventiquattro della Croce Rossa, che non è una organizzazione non governativa, che non è un piccolo partito mascherato di bontà, che non ha ideologie, e solo tante piccole competenze professionali, e buona volontà di gente comune, medici napoletani e analisti milanesi, che votano ognuno per conto loro, e non fanno manifestazioni, o le fanno come singoli, gente senza striscioni e con una sola, banale bandiera, un tricolore così, solo per dire siamo italiani. E’ normale, allora, che alla fine della constatazione amichevole scappi detto, nell’ora della gloria: “Sono libere, adesso torni a casa il contingente italiano”.
Non una parola per gli altri ostaggi, non una parola per il ricordo di nassirja, non una parola per Fabrizio Quattrocchi, non una parola per Enzo Baldoni, non una parola per chi resta in gabbia. C’ è da aver paura di gente che vuol fare il bene e nutre così tanti rancori, e tutta l’umanità di cui sono capaci è di tornare alle parole d’ordine, alla politica, alla trincea. C’è da capire che quegli occhi socchiusi sulle tragedie dei curdi uccisi dai gas, sull’inferno delle prigioni, sui feddayn di Saddam che allora impararono a usare il coltello sul collo della gente, sui massacri degli sciti, quegli occhi hanno imparato a guardare altrove come un mestiere. Non vogliamo fare grandi discorsi, e le storie piccole a volte sono meglio.
C’è un bambino che a scuola, nelle scuole di Saddam raccontò una barzelletta: l’aveva sentita da altri, da qualche adulto. Dunque Saddam decide di liberalizzar ei visti di uscita dal paese, e subito si crea una grande coda. Allora Saddam dice, ci vado anch’io, voglio anch’io il mio visto. Arriva, e tutti se ne vanno. Ma perché, chiede Saddam. Se vai via tu, allora possiamo restare noi, dicono tutti. Non fa molto ridere, ma ha riso una sola volta il bambino che la raccontò: è scomparso per sempre, e i missionari armati di bandiere non hanno avuto modo di aiutarlo. Insomma, prima dei misteri dei venti giorni del sequestro, c’è il mistero di dieci anni di relativismo morale.
Appunto, il sequestro. Che purtroppo non era opera della Cia, né di comodi criminali comuni. Ma della resistenza. Una resistenza sospettosa e pronta al colpo alla nuca. Ma se tu li convinci, e se non ti sfiorano, e se ti chiedono perfino perdono, e ti assolvono, ecco che perfino il ghigno del terrore, del sequestro delle libertà, diventa un sorriso. E si può scrivere sui muri: liberata la pace. E i camionisti turchi, per loro niente pace. E i fantasmi di Quattrocchi e di Baldoni, e degli americani che non destano pietà sono ombre sullo sfondo: qualcosa che assomiglia alla devozione perduta di quei comunisti che finivano davanti ai plotoni di Stalin, e benedicevano il comunismo, e l’abiezione dell’ideologia li portava qualche volta a confessare colpe non commesse, a fare nomi di compagni di sventura, a morire come si accetta un castigo meritato: chi non lo faceva impazziva, e il regime esigeva le confessioni non per dare una morte che sarebbe venuta comunque, ma per dominare i cuori e le anime, prima che i corpi. Volevano ucciderle, un fuoco amico perché le spie vanno uccise.
I camionisti turchi, gente che non va all’estero per salvare il mondo ma per dare da mangiare a una famiglia, gente senza faretti di telecamere e che per bandiera hanno pance da autisti e pantaloni sporchi di diesel, sono stati uccisi nel numero di trenta, finora, senza constatazione amichevole: e senza pietà, non gli hanno regalato neanche una paginetta del corano, né dolci, né scuse. E gli altri in mano ai boia, questi arcangeli vendicatori che usano il velo per mascherarsi, razza di uomini coraggiosi, coltelli spregevoli e vigliacchi. Ma quelli sono altri incidenti, che non fanno statistica, o forse collaboravano con l’occupazione, anche la pietà ha i suoi confini. I sequestratori non volevano soldi, volevano giustizia, a modo loro. E siccome gli sfuggiva che l’argomento riscatto è un dolcetto per le polemiche italiane, si sono arrabbiati con i mediatori, quando la storia è saltata fuori, sospettando un’avidità che stonava con la severità del loro tribunale da inquisizione, con la loro feroce purezza, chiedono scusa anche se solo ti sfiorano una gamba.
Tant’è che hanno gestito a modo loro la liberazione, firmandola con la consegna di una pistola, perché i mediatori hanno portafogli, non pistole. Portafogli vuoti, perché la resistenza non si vende, e pistole scariche, perché si uccidono solo le spie, o solo gli ostaggi cattivi, o solo nepalesi e turchi, che non commuovono neanche il cappellano del quartiere.
I segreti non sono nel sequestro, che è perfino una storia piccola, con qualche casualità, e troppi padri nella vittoria, quando la sconfitta di Baldoni non ebbe neppure una madre. I segreti stanno dopo, in quel mondo che appare semplice, allo sguardo abbagliato di chi solleva il velo, ma anche allo sguardo storto di chi il velo non lo ha mai messo, tocca sempre agli altri, o alle altre.
Il segreto è una parola d’ordine, una giaculatoria di appartenza, come quelle frasi che sono il cemento delle sette, americane oppure orientali, qui non importa. Dice la formuletta: terrorismo no, resistenza sì. Nel bollettino di guerra forse vuol dire autobomba contro il convoglio americano, ok, il prezzo è giusto, autobomba contro le reclute in fila, insomma vediamo, autobomba contro i bambini e le caramelle, errore, forse succede, sequestro di Quattrocchi, bèh se l’erano cercata, sequestro di civili: se sei innocente ti liberano, certo il sequestro di civili non va.
Ora se uno pensa che i terroristi siano quattro gatti, o Zarkawi e altri tre, si sbaglia. Il terrore gode simpatie, in Iraq. Appoggi, complicità. Il terrorismo paga, funziona, vince le sue battaglie. Tu uccidi gli interpreti, e io mi guardo bene dal fare l’interprete. Un solo esempio storico, per i più giovani, tanto per capire come il terrorismo funzioni, e come diventi una maledizione, se lo abbracci come una tattica usa e getta, e invece torna fuori perché il terrorismo è una metastasi che corrompe anche le ragioni comprensibili, che si ribella a essere un mezzo, che diventa un fine, e fine a se stesso. Come credete voi che Arafat sia arrivato al Nobel per la pace ? I palestinesi, dimenticati dal mondo, scelsero il terrorismo, quando voi non eravate neanche nati. Uccisero atleti alle olimpiadi, dirottarono aerei, uno dopo l’altro. E imposero il loro problema, vero e reale, al mondo.
Diventarono qualcos’altro: un popolo in esilio a casa sua, una causa rispettabile, palchi e sedie ai convegni, e una rivolta, ragazzini con le pietre contro i blindati, che suscitava la tenerezza che si prova per i ragazzi della via Pal – ma anche quello è un libro d’altri tempi. E dunque, Nobel, e kefia. Poi è tornato fuori, il terrorismo, come un fiume carsico, a dannare e sporcare le ragioni dei palestinesi, perché le condanne del sangue nei bar dei ragazzi, nelle discoteche di Israele, erano condanne di opportunità, e relative: e i nostri bambini, e i nostri profughi, e l’occupazione ? Se uno pensa che le radici del terrorismo siano solo nelle cause, nella povertà o nell’assenza di diritti, e che questo in qualche modo lo legittimi, salvo incidenti di percorso disdicevoli, allora uno ha il velo davanti agli occhi, e sussurra, schizzinoso, terrorismo no, resistenza sì, condannando, con semplicità morale anche qualunque resistenza a perdersi. Perché non si rende conto che una volta che hai sacrificato al fine, nobile e bello, ogni mezzo possibile, hai venduto l’anima, sei perso. Se hai ucciso un camionista qualunque oggi, quale mondo migliore costruirai domani ? Se fai strage di ragazzini con la mano tesa alle caramelle, che scuole farai nel mondo migliore ? Allora accettare la distinzione tra terrorismo e resistenza è un suicidio: la resistenza che accetta il terrorismo è morta, o assassina, che fa lo stesso. Ma se si chiudono gli occhi sulle barbarie di Saddam, si possono anche chiudere gli occhi su altre barbarie, e rifugiarsi nelle certezze sgranate come un rosario. Un rosario arrogante, che non si fa sgranare dalle incertezze della vita. Sono altri, gli uomini semplici, che guardano il mondo e si imbattono nella vita e invecchiano e cambiano, senza docilità, se riescono a invecchiare. C’è l’11 settembre ? Il mio mondo, la mia vita è cambiata. Sono gli Agliana e gli Stefio e i Cupertino che hanno la vita rovesciata, sono gli uomini soli e senza risposte, e con troppi perché,. Loro no, hanno la risposta pronta, lo schemino che spiega il mondo. E spiega la storia e viviseziona i ricordi secondo memoria di comodo, doppie morali, e verità unica. L’Islam delle anime belle, che assomiglia a un esotico the nel deserto, non esisteva quando a morire erano i musulmani di Sarajevo. Quante fiaccolate avete visto ? Chiedete loro, alle anime belle come si chiamavano quei volontari bresciani uccisi per portare medicine in Bosnia, o come si chiamava quel pacifista che andò a morire su un ponte della Milijacka. Non lo sanno, perché, oscurate dal velo, le anime belle avevano scambiato gli assedianti di Sarajevo per la sinistra possibile. Erano sinistri, ma in un altro senso. Chiedete a loro cos’era il ponte per Sarajevo, un ponte in minuscolo, e chiedete quanti uomini d’equipaggio aveva l’aereo che portava coperte a Sarajevo, e venne abbattuto. No, quelli erano morti senza bandiera, solo una divisa e un senso del dovere, i morti da ricordare sono Carlo Giuliani e Ilaria Alpi, già la Cutuli serve poco alla causa. Chiedete a loro, ai santonid ei dibattiti e degli striscioni, perché non stanno in Iraq, adesso. Perché gli amputati da autobomba non hanno diritto a una protesi, i secondi passi sono assicurati solo agli amputati dallo zio Sam. Chiedete non alle due Simona, povere figlie nostre, che hanno diritto di dire quello che vogliono, e persino di diventare europarlamentari, alla prossima puntata, chiedetelo ai confratelli perché non vanno adesso a fare gli scudi umani non diciamo nella cabina dei camionisti turchi, ma a Falluja.
Chiedete a loro perché le idee non cambiano, perché se un amico ti tradisce, o uno che conoscevi si rivela diverso tutto resta uguale, nel regno confortante delle ideologia senza dubbi, delle sicumere a risposta pronta: l’occupazione americana, magari scritta con il kappa. Chiedetegli il nome non dico dei diciassette ragazzi e padri di Nassirya, che vestivano una divisa, che sono andati a morire con il senso del dovere con cui a Genova si erano puliti dagli sputi dell’Italia civile che non voleva il G8, chiedetegli il nome dei due civili morti a Nassirya da giornalisti. Per loro niente manifesti.
Per loro nessuna indignazione.
Fa indignare Terra!, dice l’onorevole vellutato che attacchiamo l’Islam. Non gli passa per la testa che chiedere all’islam di ribellarsi al silenzio, di rispettare, oltre che se stesso, anche noi, è un segno di lealtà, è aiutarli a uscire dalle ambiguità, dalle frustrazioni, dal totalitarismo religioso, dall’ipocrisia che piace tanto ai santini ecumenici. Cari fratelli interreligiosi, che avete pregato con Tareq Aziz, vogliamo spenderla un’ultima parola di conforto, anche per Kenneth Bigley, un’estrema unzione coraggiosa. E voi, generosi e confusi scudi umani, vogliamo andare adesso in Iraq, e offrire i petti sulle case di Falluja, non chiediamo che si mescolino alle reclute in coda ? Non sono domande retoriche, perché le rivolgiamo anche a noi stessi le domande scomode.
Chiediamo a noi stessi, noi che non abbiamo verità in tasca, noi che non ci nascondiamo, macchè imbarazzo, ma sdegno per ogni vittima innocente di falluja, noi che non accettiamo che la caccia a Zarkawi abbia danni collaterali, noi che siamo tormentati dai dubbi, ci chiediamo che cosa fare, e non abbiamo risposte pronte, solo l’orgoglio di avere verità confuse, ma anche una morale sola. Noi anime semplici e senza arroganza, che non abbiamo bisogno di eroi e di eroine, noi che non smaniamo per fare del bene, né per andare in Iraq, noi che non inganniamo la generosità dei giovani, noi che non aspiriamo a nessun seggio e a nessun governo del paese, noi che ci annoiamo a qualunque chiarificazione nella sinistra e a ogni dibattito nella destra, noi che ci auguriamo sì che i nostri coetanei di nassirja tornino tutti, dal primo all’ultimo a casa, ma con la soddisfazione di un lavoro compiuto, non con la vergogna di essere stati complici di chissà cosa, noi proviamo solo a immaginare, come se fosse un videoclip, come se fosse una pubblicità, che in una piazza di Bagdad, in un tempo futuro che sa di passato, proviamo a immaginare un vecchio uomo che parla alla folla, iracheni qualunque, che dice che ognuno ha diritto di pensarla a modo suo, e ci si può contare nel voto, e le elezioni sono un modo leale di dirimere le questioni, e di rispettarsi l’un l’altro, chi ama il velo e chi se ne infastidisce, e d’altronde, che altro si può fare, non c’è un’altra scelta. Sì, è un’immagine scippata o sequestrata alla pubblicità, sempre meglio che appropriarsi della parola resistenza per mettere una medaglia al petto dei nazisti dei giorni nostri, Dio è con noi, gli ebrei e i capitalisti di Wall Street governano il mondo, la purezza del velo e i versetti del Corano valgono adesso come gli occhi azzurri e i capelli biondi, e la figlia di un camionista turco sta scrivendo un suo diario che non leggeremo mai, noi siamo stanchi di parole d’ordine e non diremo ora e sempre resistenza, diremo solo siamo a casa, in questa casa disordinata e comune delle due Simona, di Agliana e Cupertino e Stefio. Una casa dalle stanze vuote: i diciannove di Nassirya, , le stanze degli appuntati e dei marescialli, e dei tenenti, ci immaginiamo un cappello sul cassettone, una medaglia e un diploma sul muro, la stanza di Enzo Baldoni che ci piace pensare colorata e innocente, la stanza della casa che Fabrizio Quattrocchi non riuscì a comprare. Lasciamole chiuse, quelle stanze, spegniamo i riflettori dei nostri inviati davanti alle case delle brave ragazze, impariamo il rispetto del silenzio, nelle nostre case con troppi vuoti.
All’Iraq nessuna parola d’ordine, solo l’ineffabile ciao da cartolina, da gita domenicale o da fine tappa: ciao ai 24 della crocerossa, ciao ai ragazzi e alle ragazze di Nassirya, non fate caso a quel che si dice qui, continuate tranquilli a dare una mano a quel paese senza fortuna e poi tornate in questo nostro paese senza silenzio.

lunedì, ottobre 11, 2004

Le elezioni in Afghanistan: che meravigliosa notizia

Leggere tra molte notizie cattive e vedere tra mille tragedie un paese che pian piano passa ad uno stato di normalità è una cosa meravigliosa.
Certo, le prime elezioni afghane hanno avuto molte difficoltà e si sono svolte nella paura, però hanno segnato un punto di svolta che resterà per sempre indelebile.



Queste elezioni sono state l'Undici settembre per i terroristi. Da qui non si tornerà più indietro.



Il coraggio di John

Se vivessimo in un periodo storico normale, gli ultimi avvenimenti che vediamo sotto i nostri occhi meriterebbero maggior attenzione, invece abbiamo già da tempo una barriera che non ci fa inorridire di fronte a nulla.
Ci stiamo pericolosamente abituando ad ogni orrore.

Quarto mandato consecutivo per il primo ministro australiano John Howard.

Il partito conservatore del premier si è aggiudicato in modo netto le elezioni in Australia, con un risultato che è andato al di là delle previsioni. Dura sconfitta per i laburisti, che avevano contestato soprattutto la partecipazione dell'Australia alla guerra in Iraq.

La prima conferma elettorale che si scontra con il pensiero unico! Bravo John Howard, il tuo coraggio è stato ricompensato.

sabato, ottobre 09, 2004

In memoria di Pat Tillman

Nessuno si ricorda più chi era Pat tillman?
Era un campione di football americano, con una laurea con lode in marketing. Dopo l’11 settembre ha rifiutato un contratto da 3,6 milioni di dollari per arruolarsi con il fratello Kevin nei corpi speciali Usa. È stato ucciso in Afghanistan durante una battaglia con i Talebani a 27 anni.




A volte vorrei che nulla fosse mai iniziato, vorrei che nessuno dovesse mai soffrire, invece ogni giorno che passa tutto rimane sempre uguale, a volte anche peggio.

Il peccato originale con il quale ogni persona nasce è quello di non aver deciso né il come né il dove nascere. Il fatto di nascere qua o la è una mera estrazione a sorte di fronte la quale tutti noi siamo stati impotenti. Quante volte mi sono chiesto perché sono nato in questa famiglia, perché ho vissuto con certe cose, ho visto certe cose, ho affrontato certe cose. Se siamo sinceri forse ognuno di noi almeno una volta nella vita si è posto la mia stessa domanda. Perché?

Se siamo d’accordo che tutti nasciamo all’inizio impotenti, con il crescere, con il passare degli anni dovremmo acquisire i mezzi e gli strumenti per cercare di cambiare le cose che attorno a noi sono malsane, che avvelenano il nostro vivere, che sono come un cancro per la nostra felicità.

Cresciamo e capiamo che abbiamo i mezzi per poter fare qualcosa, ma proprio in quel momento la soluzione non ci è poi così tanto semplice, la nostra mente capisce che non esiste e non esiterà mai una soluzione perfetta ai nostri problemi, che qualunque cosa noi decidiamo di fare, non è mai la cosa migliore, non potrà essere mai la cosa migliore, al massimo potrà essere la decisione meno pessima che potremmo saper prendere! “La meno peggio!”

A volte il limite umano è davvero grande e insormontabile, il non essere gli unici protagonisti delle nostre scelte è un macigno a volte davvero logorante, ma questa è la realtà alla quale dobbiamo pur dare una risposta.

Il fatto di essere umani e pensanti con dei sentimenti, mette dei freni a quelle che potrebbero risultare le soluzioni più efficaci, queste caratteristiche mettono dei paletti alle scelte, delle barriere ai risultati, toglie un po’ di ossigeno alla potenziale felicità.

E allora arrivati a questo punto che fare?

Tutti abbiamo i nostri problemi, più o meno grandi, con i quali tutti i giorni ci confrontiamo, cerchiamo di andare avanti, di tenere la testa alta. A volte avere la certezza di non essere fonte di problema per gli altri non è una liberazione, anzi. La vita umana non ha mai distribuito nella sua millenaria storia le stesse responsabilità a tutti, molti di noi si sobbarcano anche una responsabilità nei confronti di chi gli è vicino, qualcuno che non ha mai avuto un minimo senso di responsabilità. Questo è un peso perché ci fa portare rispetto anche a chi rispetto non ne porta, ci fa dare anche a chi non sa ricevere e minimamente ridare quel che ha ma che non meriterebbe minimamente, se si agisse con la massima razionalità.

Ho in ogni modo sempre pensato che nulla avviene per caso, per scherzo, per semplice statistica. Saper dare a chi è capace di restituire sarebbe troppo facile, tutti sarebbero in grado di poterlo fare. La cosa importante è quella di avere un cuore puro nel dare senza misura, non aspettandosi nulla in cambio. Questo aspetto è già difficile da scrivere qui in questa pagina, figuriamoci saperlo vivere in ogni giorno della nostra vita.

Speriamo di non rimanere soli, e di avere il coraggio di rivolgerci a Chi non ci lascia mai!


In memoria di Pat Tillman


Sulla cultura e sulla capacità di trasmettere la conoscenza

Quante volte noi giovani abbiamo dovuto ascoltare rimproveri ed avvertimenti, consigli ed aiuti da parte di persone più “esperte della vita”, con il solo fine di migliorare la nostra mentalità, oggi basata unicamente su esperienze ed emozioni passeggere, a volte invasa da una molteplicità di pregiudizi, ma ripeto, con il fine di essere messaggeri di esperienze a noi utili.

Io, lo ammetto, dall’alto della mia presunzione, quando mi viene dato un consiglio, per rispetto lo ascolto, ma in genere non condivido quello che mi viene detto, forse perché di cose a volte me ne vengono dette fin troppe.
Einstein dice una cosa che può colpire in profondità, in sintesi afferma che noi giovani dobbiamo avere un infinito rispetto per il lavoro di chi ci ha preceduto, dobbiamo conoscerlo e se possibile migliorarlo e trasmetterlo a chi verrà dopo di noi. Da mortali, per mezzo di questa opera diveniamo una sorta di immortali.
Diciamo pure che questo pensiero del matematico tedesco non è in apparenza di difficile comprensione come la sua famosissima legge della relatività, ma rileggendola bene mi lascia ugualmente esterrefatto per diversi motivi.
Primo fra tutti è difficile comprendere come moltissimi grandi uomini hanno speso l’intera esistenza per qualcosa, donando anima e corpo alla realizzazione di un’idea, di un progetto quasi fisse stampato nel Dna. Mi chiedo se l’abbiano fatto per migliorare la condizione dell’umanità o solo per una ragionevole ambizione personale. La risposta è data dalla sete di conoscere, quella che a volta manca. Tale sete porta sia ad una realizzazione personale sia ad una condizione collettiva migliore, ma necessita di una passione così grande da essere in grado di cancellare tutte le difficoltà e le fatiche che si incontrano nel proprio cammino.
L’uomo, spinto dalla passione della conoscenza, si è addentrato nei meandri del Sapere è chissà dove si potrà arrivare in futuro. Questa sua opera merita quantomeno il rispetto di tutti e, come dice Einstein, dobbiamo onorarla, arricchirla e un giorno saperla trasmettere ai nostri figli.
Qui inizia il nostro sforzo e sacrificio a saper mantenere ciò che è stato prodotto nel passato, compito assai arduo, se manca un interesse collettivo a farlo.
La realtà è che ai giovani, come anche ai più adulti, manca l’interesse per quello che ci circonda, non sentiamo il bisogno di recarci a vedere una mostra o di studiare una legge matematica, sapere il percorso di una norma giuridica, conoscere il profondo pensiero di un filosofo.
Questo un po’ deriva dal fatto che ormai pochi ci fanno capire l’importanza dello studio che non deve essere finalizzato solo a trovare velocemente un lavoro come accade oggi, ma come un percorso per diminuire la nostra ignoranza.
E’ doveroso capire che la cultura non si acquisisce avendo uno stipendio più o meno alto, ma è una cosa, forse ancora una delle poche, che si acquisisce se la si vuole davvero.
Oggigiorno la laurea viene valutata solo se può facilitare la ricerca di un buon impiego, e non come un vasto approfondimento di un ramo del Sapere che pochi altri avranno.
Ma dove il denaro è l’unico credo, anche la cultura sarà una funzione del denaro. Pochi vanno a scuola o all’università volentieri per il semplice fatto che non ci rendiamo conto che conoscere cose nuove è già un capitale. Un capitale di enorme valore. Inestimabile valore!
Si studia solo per avere un voto alto o per passare un esame universitario e con questo spirito il passare degli anni vedrà la nostra incapacità di dare un contributo al lavoro della collettività, unicamente perché proprio la collettività non produrrà più niente.
Mi rendo conto che questa visione è molto tragica e un po’ illogica, ma grande ricchezza della civiltà umana è stata fino ad ora quella di saper riconoscere i propri limiti ed errori, per sapere trovare un indirizzo nuovo alla propria esistenza terrena.
Ne saremmo ancora capaci? Cosa riusciremmo a trasmettere ai nostri figli? A noi la risposta.

Intervista a Toni Capuozzo - Libero 6 ottobre 2004

“Sento spesso altri giornalisti parlare di “resistenza irachena”. Anche giornalisti del Tg1, il servizio pubblico per eccellenza. Ma io in Iraq ho visto altri resistenti. Chi ha fatto la resistenza, in Iraq, è Fabrizio Quattrocchi. È per questo che non ci hanno mai mostrato il video della sua esecuzione: perché lui, morendo, ha fatto la resistenza. Quello scatto di orgoglio, quel gesto di ribellione, quel saper affrontare la morte dignitosamente erano una sconfitta per i suoi boia. I terroristi vogliono sempre esibirci codardi e piagnucolosi, meschinamente attaccati alla vita. Quattrocchi li ha annichiliti, ha fatto la resistenza, li ha battuti”. Toni Capuozzo, 56 anni, inviato del Tg5, da mesi racconta una guerra diversa da quella raccontata dalla Rai e da gran parte dei giornali. Nella sua trasmissione, “Terra”, se la prende con il pacifismo, svela le zone d’ombra di un “Ponte per...”, denuncia la cecità e la cedevolezza occidenta - le, ricorda la condizione delle donne, dei civili. Rifiuta il concetto di resistenza applicato non soltanto al terrorismo stragista, ma anche alle bande armate in guerra con gli americani. A Libero ha spiegato il perché: “Perché io sono un uomo di sinistra. Non ho mai nascosto né rinnegato le mie origini, la mia attività in Lotta continua. Per me la Resistenza è un’altra cosa. In Iraq non esiste un’attività di resistenza”.
Che cosa c’è? “Un terrorismo straniero, quello di Al Zarqawi per intenderci, che ha messo radici in un terreno fertile; e un terrorismo costituito da ciò che resta del vecchio regime di Saddam. È un terrorismo che funziona. Se ammazzano gli interpreti perché lavorano per gli americani, la gente non fa più l’interprete. Poi ci sono bande armate - io le chiamerei bande di ribelli, di insorti - che non rapiscono e non mettono le autobombe, ma si oppongono con la guerriglia alla presenza degli americani”.
Considerano gli americani invasori. Non uccidono i civili. Tecnicamente sono resistenti. “No, non lo sono. Sono conservatori, sono prevaricatori, vogliono le donne sottomesse, rifiutano l’idea di un Iraq democratico. Vogliono essere la nuova oligarchia dittatoriale”. Dunque solo Quattrocchi è un resistente? “Lui. I dodici nepalesi che aspettavano coraggiosamente e in silenzio la pallottola alla nuca. I cinquemila iracheni in divisa uccisi dai loro connazionali perché collaboravano con gli Usa nel tentativo di dare un futuro al paese. Gli iracheni ammazzati con le bombe mentre erano in fila per reclutarsi. Questi hanno fatto la resistenza, non gli altri. Anche l’inglese in gabbia, in lacrime e terrorizzato, fa la sua resistenza, perché nella sua paura c’è tutta l’umanità che manca ai suoi sequestratori”.
Sono pochi in Italia a pensarla così. “In Italia si giustifica il terrorismo con la fame. Si dice che è la miseria a produrre l’orrore. E la fame dei camionisti turchi assassinati? E la fame di chi si arruola? La fame degli iracheni che lavorano per l’esercito americano? È una fame minore? Più ignobile?”.
Sono obiezioni poco affascinanti in Europa. “L’atteggiamento dell’Europa è incomprensibile. Sembra non abbia altro obiettivo che di godere di un eventuale fallimento di Bush. È un’Europa confusa da quando è caduto il comunismo, pervasa da una grande corrente ideologica fatta di figli di papà, di pauperisti, sia religiosa sia laica, che ha perso la sua bandiera. E allora ha sostituito il vecchio modello del comunismo con un modello alternativo, e sempre a sognare il paradiso. Quando c’era il comunismo si diceva, disillusione dopo disillusione, che il comunismo poteva essere qualcosa di diverso da Stalin, poi da Mao, poi da Pol Pot. Ma il comunismo diverso non è mai arrivato. Ora si sogna un mondo ancora più indefinito, ancora più inesistente”.
Beh, l’Islam è un mondo molto concreto. “Certo, un mondo nel quale è stato proiettato incredibilmente il sogno di una terra promessa. Ma dove? Nella tirannide talebana? Nelle donne seppellite nel burqa? E questo sarebbe l’altro mondo possibile predicato dai no global? Stando in Iraq mi sono ripromesso, come sempre, di raccontare fatti. Penso che prima di farsi un’opinione si debbano conoscere i fatti. Invece molti incasellano fatti partendo dalle opinioni. Della terribile vicenda del povero Baldoni, per esempio, o di quella delle due Simone si è discusso per giorni delle dinamiche del sequestro, delle anomalie, come se l’unico obiettivo fosse quello di dimostrare che erano stati gli americani, i servizi deviati, la Cia. Per dimostrare che tutto il male del mondo è roba loro”.
Siamo al solito antiamericanismo? “Certo, non è cambiato nulla. Sei sei antiamericano va bene qualsiasi cosa tu faccia. Anche se sgozzi, sequestri, metti a fuoco Bagdad e Gerusalemme. Magari non ti giustifiano ma ti capiscono. A parte il fatto che poi, se arriva un americano che corrisponde al loro ideale, lo idolatrano. Michael Moore è stato trasformato in un nuovo Orson Welles, Kerry in una specie di Kennedy “ .
Spesso il terrorismo viene equiparato ai bombardamenti americani. “È così. Se gli americani bombardano un covo di estremisti fanatici, le tv ci mostrano i civili e ci dicono che questo è l’orrore. Non ci dicono che i terroristi non vivono nelle caserme, ma in mezzo alla gente, in una palude in cui è impossibile muoversi con certezza. Non mi piacciono i cosiddetti “danni collaterali”. Ma non sono terrorismo”.
Il terrorismo paga? “Arafat ha vinto il Nobel per la Pace con il terrorismo. Della questione palestinese nessuno sapeva nulla sinché i palestinesi non cominciarono a rapire, dirottare, uccidere. Allora in Europa siamo diventati tutti tifosi della Palestina e di Arafat”.
Che cosa ha di diverso la protesta no global da quella vostra, degli anni Settanta? “Beh, la nostra contestazione aveva in sé una carica di violenza che, per fortuna, non vedo oggi. Però le battaglie della sinistra ora sono simboliche, evanescenti, vacue. Dicono no al rimpatrio di seicento clandestini sbarcati a Lampedusa ed è una cosa insensata, contraddittoria. Secondo questo ragionamento, dovremmo organizzare noi dei ponti aerei e portare in Italia non seicento clandestini, ma seimila.
E perché non sei milioni? O sessanta? Insensato “ .
Lei dice che non si deve prendersela con le due Simone. “Perché sono due militanti. Lo sapevamo e non dovevamo dimenticarlo. Perché poi si resta delusi. Dovremmo anzi essere felici che un’esperienza simile non le abbia cambiate”.
Però è stato molto più severo con “Un ponte per...”, l’organizzazione che le ha mandate in Iraq. “Semplicemente mi sono chiesto dov’erano quando Saddam sterminava a migliaia gli sciiti e i curdi. Dov’erano quando Saddam utilizzava ghigliottine a sei posti per decapitare sei oppositori contemporaneamente. Non sono mai stati campioni di libertà. Per lavarsi la coscienza portavano le medicine ai bambini, che era come aprire una farmacia ad Auschwitz. Hanno sceso i gradini di un abisso morale. Sono brava gente con la doppia morale”.
Che cosa pensa dei suoi colleghi che raccontano un’altra guerra? “Non penso niente. Io penso a me. Certo,mi rendo conto di suscitare scandalo, perché ho una storia di sinistra e vedo e racconto cose diverse da quelle che raccontano i Giulietto Chiesa o le Gruber. Sono stato criticato anche per come ho reso i fatti del G8 a Genova, ma pazienza. Del resto non l’ho inventata io la foto con il povero Giuliani che sollevava l’estintore, con il povero Placanica armato e con gli occhi terrorizzati, e con le travi buttate dentro alla sua camionetta”.
Lilli Gruber ha mollato il giornalismo e il giorno dopo era candidata per l’Ulivo. “Sono d’accordo con il suo ex direttore, Clemente Mimum: avrebbe fatto bene quantomeno a lasciar passare un po’ di tempo”.
Comunque si è candidata dopo averci parlato per mesi, da Bagdad, della guerra. È legittimo dubitare della genuinità del suo lavoro? “Sì, lo è. Ma non ne farei un dramma. Purtroppo la gente ascolta soltanto quello che vuole sentirsi dire. Se viviamo di pregiudizi la colpa non è soltanto della stampa. Tutta l’Europa è molle e impreparata. Il pensiero ribelle è diventato il conformismo più totale. Quando un grande anticonformista come Montanelli si è adagiato, per una volta, al pensiero corretto dominante, si è guadagnato gli applausi di tutti i suoi vecchi avversari”.
Un’ultima domanda. Che sarà dell’Iraq? “Io rimango ottimista. Se andrà bene, come penso, il processo sarà lunghissimo e doloroso ma in Iraq si produrrà un circolo virtuoso che fa paura a molti. Una democrazia in Medio Oriente è qualcosa di straordinariamente eversivo”.
Sembra un neoconservatore, un consigliere di Bush. “Non ragiono su basi di appartenenza. Ragiono sui fatti. I fatti dicono che in Iraq sono nati più di cento giornali. La gente ha la libertà di manifestare e di bruciare le bandiere in piazza. E quando si assaggia la libertà, poi è molto difficile tornare indietro e rinunciarvi”.


Tratto da "Libero" del 7/10/2004